mercoledì 20 giugno 2012

Ul leua...

Questo racconto è tratto dal manoscritto che Mario Carnelli ed Albino Porro hanno redatto nell'ormai lontano 1984 (il libro è disponibile presso la biblioteca di Gerenzano).
Nel manoscritto viene raccontata la storia della Gerenzano che fu, quella dei nostri nonni e dell'adolescenza dei nostri padri, la vita quotidiana, i lavori dell'epoca, il dialetto come unica lingua, la toponomastica della vecchia Gerenzano...una Gerenzano scomparsa, ma che vive nel cuore dei "nostar vecc" !
Questo blog mensilmente proporrà uno di questi racconti...
Fino agli anni cinquanta si vedevano ancora le donne di Gerenzano andare in "cuperativa a fàa ul pan giald".
Per cuocere questo pane si seguiva un rituale: le donne si recavano dal "Giuan Garbelj", gli dicevano quante ruote di pane giallo dovevano fare e, in base al numero delle ruote, si decideva il giorno. Quindi si facevano dare "ul leua" e se ne ritornavano a casa. Le materie prime per fare il pane giallo erano: sale, farina gialla, farina di segale, farina di frumento, acqua calda, oltre naturalmente al "leua". Il recipiente per contenere il tutto si chiamava "marneta".
Dal pane che una famiglia faceva si poteva capire se era ricca o povera: se era ricca il pane era fatto con farina di solo frumento, mentre se era povera era fatto con farina gialla, farina di segale e pochissima farina di frumento.
Bastava un occhiata ai due tipi di pane per capire di che pasta fossero fatti: a differenza di quello fatto con farina di frumento, l'altro aveva delle grosse e profonde screpolature. Per la verità la persona che mi ha raccontato questo fatto non ha adoperato il termine screpolatura, ma il termine dialettale "careng", termine che rende meglio il senso della profondità dei solchi che rigavano le ruote di pane giallo.
A sera le nostre brave donne, dopo aver preparato la dose di farina, scaldavano l’acqua, vi aggiungevano il sale e cominciavano a far l’impasto nella "marneta".
Da una parte la farina, dall’altra “ul leua" e impastavano questi due elementi a poco a poco fino a quando non li avevano utilizzati tutti e due completamente e ne era venuto fuori un impasto uniforme e ben lavorato . Ricoprivano la "marneta" con un sacco e lasciavano riposare l'impasto fino al pomeriggio successivo.
All'ora stabilita del pomeriggio successivo mettevano la "marneta" sulla "careta a man" e la portavano in cooperativa. Qui, "ul Giuan Garbelj” faceva tanti bigliettini quante erano le donne che dovevano fare il pane, vi scriveva sopra dei numeri e invitava le donne a sceglierne uno. Evitava così le solite discussioni del "tocca a me o tocca a te".
La donna che aveva sorteggiato il numero più basso scoperchiava allora la "marneta", prendeva un po' di impasto e lo metteva nel "baslott" (è un recipiente di legno). Se era brava nel "baslottare" bene, altrimenti "ul Giuan Garbelj” chiamava la "Fiura". La "Fiura" abitava dalla parte opposta della piazza ed era la migliore di Gerenzano in questo lavoro. Dopo che l'impasto era stato ben "baslottato", veniva messo sulla "pala dul Giuan" e questi lo metteva nel forno. Generalmente una infornata era costituita da trentacinque pani gialli. La cottura durava circa un’ora e mezza dopo di che le donne mettevano le ruote di pane giallo nella "marneta" e le portavano a casa. E mentre andavano a casa lasciavano dietro di loro una scia di profumo di pane fresco che io, dopo trentacinque anni, mi par ancora di sentire, tanto era forte e invitante.

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